Archivio annuale 06/02/2024

C’è ancora domani

E’ un racconto crudo e realistico narrato con la leggerezza della commedia ma fedele al compito preciso della regista, farci pensare, leggerci i fatti, farci attraversare dalle emozioni e portare l’attenzione sulla discriminazione e la violenza verso le donne. Riesce a fare questo ricordandoci un momento importante del dopoguerra, un primo significativo domani per i diritti e per la condizione delle donne, la possibilità di scegliere e di votare.  Il film ci porta dentro la cultura patriarcale del tempo, ci fa spettatori partecipi dei movimenti della protagonista, delle sue parole e di quelle delle altre donne, dei suoi cambiamenti prima negati, poi pensati e infine agiti.

Il compito è riuscito, ci ricorda che l’ordinaria violenza verso le donne a cui continuiamo ad assistere ha radici precise nella distribuzione e nella gestione del potere, che nel nostro tempo ancora dobbiamo tutti mantenere la convinzione che è possibile scegliere, che tutto ciò che facciamo oggi, porta domani a un cambiamento. Scelgono gli uomini quando decidono di agire la violenza o di cambiare, scelgono le donne quando decidono di uscire dalle relazioni tossiche e mortali, scelgono le strutture sociali e le istituzioni quando decidono come tradurre in regole i cambiamenti culturali, favorendoli od ostacolandoli.

Spesso siamo parlati da altri discorsi, che non sono propriamente i nostri ma il frutto di processi identificatori che ci hanno accompagnato nel nostro percorso di crescita. Siamo i veicoli di discorsi di altri, fino a quando non troviamo la consapevolezza, le risorse o l’aiuto per farci noi soggetti più autentici, per decidere in base ad un ascolto più intimo di noi stessi i nostri discorsi e desideri, per fare i conti con gli influssi delle educazioni ricevute e delle culture in cui siamo cresciuti.

Scegliamo tutti noi quando entriamo in quella sala cinematografica e uscendo portiamo con noi quei discorsi, continuiamo a parlarne perché ci è piaciuto il modo di raccontarceli, li facciamo nostri e scegliamo da quale cultura vogliamo essere attraversati e parlati.

Perfect days e il sapere della solitudine

Un senso di sospensione, le musiche degli anni 80, ritmi di vita che non ci appartengono più sembrano quasi collocare la storia in un altro tempo, differente dalla frenesia e dal correre della contemporaneità. Uno dei protagonisti guarda uno smartphone e da un lato riconosciamo i nostri tempi e allo stesso tempo li perdiamo, non sono più importanti. E con loro il senso del pieno di cui i giorni sono attraversati. Nel film non c’è rumore o velocità o il senso del pieno e del tutto subito. C’è spazio, silenzio, tempo che accenna al vuoto ma ce lo presenta come condizione importante, una buona solitudine che poco ha da condividere con l’angoscia del sentirsi soli. Ci sono i bisogni del quotidiano, la cura del proprio corpo, della casa, delle richieste del lavoro, e tutto è onorato. Ci sono i sogni, la curiosità, le passioni e i desideri del protagonista. Ci sono gli appuntamenti, tanti, con i personaggi che non sono mai comparse prive di significato. Intuiamo la presenza di un mondo e di un tempo passato con cui il protagonista è stato implicato e rispetto al quale ha scelto di ricollocarsi diversamente. La solitudine non fa paura né tristezza, le accoglie insieme agli altri affetti. Non c’è malinconia che paralizza, ma il potere trasformativo della nostalgia che fa spazio a ciò che abbiamo vissuto o perduto tra le luci e le ombre della nostra vita ed a ciò che in questo gioco continuiamo a sognare e desiderare. È uno sguardo onesto quello che ci viene suggerito verso l’esistenza, un invito ad accogliere e ridisegnare i tempi della nostra vita, anche solo dentro di noi in quello spazio intimo in cui per primi viviamo e immaginiamo le relazioni con il mondo. E accompagnati da una colonna sonora senza tempo ci accorgiamo che dietro il turbamento iniziale si nasconde un senso di gratitudine per averci portato a fare pensieri diversi.

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